Rassandogo… il pozzo e il pollo…

Mi sono alzato presto stamattina per piazzarmi con il mio Mac sulle ginocchia, sotto il portico della casa di Mariam Maïga (la Presidente di Zoodo, l’ONG locale nostra partner) e riuscire ad entrare nel raggio del suo WI FI. Riesco così a “far partire”, finalmente, alcuni messaggi ad amici in Svizzera. C’è l’Harmattan e dalla strada davanti a casa si sollevano nuvoloni di laterite. La sabbia mi entra negli occhi. Metto gli occhiali da sole. Alle 8.30, in sei sulla Toyota 4×4, schiacciati come sardine, partiamo per i villaggi ove opera Zoodo. La Radio locale annuncia un’epidemia di meningite nella regione di Ouagadougou (come se non ne avessero abbastanza…) e propone una serie di misure preventive. Thierry, l’autista, è esperto e conosce tutti i buchi, gli ostacoli, anticipa i “gendarmes couchés” (i rilievi stradali rallenta-traffico) per non farci troppo sobbalzare. Il percorso sulla pista di sabbia, nella savana, è comunque tortuoso: Thierry deve continuamente slalomare fra cespugli, acacie, pietre o ceppi di alberi che spuntano dal terreno. Appena può accelera e fila veloce, le ruote sobbalzano (povere sospensioni…) sulle cunette di sabbia rossa o beige. Schiva all’ultimo momento capre e caprette vaganti. L’impressione è che, prima o poi, ne debba spappolare qualcuna sul muso della vettura.
Arriviamo dopo circa un’ora di scomodo viaggio al villaggio di Rassandogo. Scendiamo con sollievo dalla vettura. Una nuvola di bimbi, conci, in età da asilo, vestiti a malapena, a piedi nudi, per lo più con canottiere, magliette e calzoncini da calciatori. Mi si avvicinano “un Ronaldo” e “un Messi” con la maglietta piena di buchi. Mi squadrano come una bestia rara. I piccolissimi piangono. Il “Nassara” (così ci chiamano noi bianchi), come spesso capita, fa loro paura. Poi arrivano gli uomini, gli anziani, si siedono, vicino a noi, ai piedi dell’albero all’entrata del villaggio. Infradita. Piedi di pelle scura secca e rugosa. Le donne, giovani, bei colori, vecchie, si siedono su una panchina piazzata di fronte a noi, accanto alla Toyota. Ci hanno offerto un paio di poltrone di bastoncini di legno, legati da corde, scomode, premono sull’osso sacro, e una panchina. Saluti. Un minuto di silenzio per le vittime dell’attentato terroristico di Ouaga. Presentazioni. Auguri di buon anno. Il problema è la mancanza di acqua potabile nel villaggio. Dispongono solo di acqua di un pozzo a cielo aperto, dove vi cadono animali, che porta malattie. Il pozzo (il “forage”) realizzato due anni fa, da noi finanziato, non ha dato soddisfazione. Ha dato acqua all’inizio e poi non più. Discutiamo del sondaggio svolto recentemente e che ha dato un esito positivo in una zona meno centrale del villaggio. L’acqua c’è, dunque, si tratta di procedere a una nuova trivellazione e alla realizzazione di un nuovo pozzo con pompa. Ci accordiamo affinché la popolazione partecipi al finanziamento del nuovo pozzo, con un contributo nei limiti delle loro possibilità economiche: 100’000 FCFA (circa 200 CHF). Il contributo per noi è simbolico. Marca il principio della partecipazione e della reciprocità. Per evitare la logica della “pura carità”. Senza tale contributo, il pozzo non si farà. Ci salutiamo. Ci regalano, in segno di amicizia, un pollo. Partiamo, in direzione di Kelguerima, con un certo disagio nel corpo e nella mente. Ci diciamo che l’acqua è vita, è il bene più prezioso per loro come per noi. Che il pozzo è vitale per la popolazione del villaggio. Ma siamo imbarazzati per il rapporto di potere che la situazione comporta. Imbarazzati per il sincero sentimento di gratitudine della popolazione del villaggio oscurato dal nostro disagio interiore.

Franco Losa. Sono le 23.45